Fascismo
Le origini
La
durezza della prima guerra mondiale aveva rotto l'equilibrio della
società pre-bellica rendendo difficili nuovi livelli di mediazione. Il
quadro sociale era composito ed incerto, in un contesto nel quale si
tendeva a staccarsi definitivamente dall'Ottocento.
Il primo Fascio
di combattimento (il termine deriva dal fascio littorio dell'antica
Roma) fu fondato a Milano, da Mussolini, il 23 marzo 1919, cinque mesi
dopo la fine del conflitto. Confluivano nel suo programma elementi
nazionalistici(la vittoria mutilata),influenze anticlericali,
repubblicane e del sindacalismo rivoluzionario, miti della violenza e
dell'atto di coraggio (propri del Futurismo). Il risultato fu un
movimento antisocialista che ricorreva apertamente alla violenza. Verso
la fine del 1920,dopo il sostanziale fallimento dell'occupazione delle
fabbriche, si sviluppò e diffuse rapidamente. Appoggiato dai proprietari
terrieri nell'Italia del Nord e di centro e giovandosi dalle connivenze
istituzionali (magistratura ed esercito), il movimento fascista si
concentrò a distruggere, con la violenza delle sue squadre, le
organizzazioni contadine ed operaie. Anche gli industriali guardavano
al fascismo come ad uno strumento da utilizzare contro le organizzazioni
operaie.
La battaglia di Firenze
Il
fascismo fiorentino aveva ricomposto le sue divisioni nel gennaio del
1921, sotto la guida del marchese Perrone Compagni, il "granduca di
Toscana",e del tenente Tullio Tamburini, il "grande bastonatore", per
dedicarsi all'attività intimidatoria contro le amministrazioni
socialiste. Il 26 gennaio i fascisti distrussero la tipografia della "Difesa"in via Laura. Il
27 febbraio, alle 18, un gruppo di quattro squadristi entra in via
Taddea 2 -sede del Sindacato ferrovieri, della Lega proletaria dei
mutilati, invalidi e reduci di guerra, della Federazione provinciale
comunista- mentre altri quattro aspettano vigilando la strada. Il primo
gruppo spara quattro colpi di rivoltella contro Spartaco Lavagnini, due
alla testa, un altro al petto, il quarto alla schiena. Una sigaretta
accesa posta dagli assassini tra le labbra del cadavere mostra il
disprezzo per l'avversario.
I ferrovieri, appena diffusa la notizia
della morte di Spartaco Lavagnini, proclamano lo sciopero: i treni
restano bloccati a Rifredi, al Campo di Marte e a San Donnino.Il 28
febbraio lo sciopero si estende alle altre categorie e si diffonde nella
provincia fiorentina. Prende avvio la cosiddetta battaglia di Firenze,
con i tumulti in San Frediano, dove si alzano barricate.
A
Scandicci si sa che i fascisti verranno per occuparla; la popolazione,
riunita in piazza, decide di difendere il paese, i contadini barricano
il ponte a Greve, all'ingresso del paese. Quando si presenta un camion
di carabinieri, questi reagiscono come possono. Una colonna
d'artiglieria, dotata di pezzi da campagna (una batteria da 75) e di
autoblindo, provvede a soffocare la rivolta. Poi, ad ordine
ristabilito, intervengono i fascisti per la spedizione punitiva
esemplare.
Il 1° marzo del 1921 due camion di marinai in borghese,
scortati da due carabinieri, vengono mandati da Livorno a Firenze per
sostituire i ferrovieri in sciopero. Nell'attraversamento di Empoli,
scambiati per fascisti, vengono attaccati. Il giorno dopo Empoli, sotto
la guida di Tamburini e Frullini, viene occupata militarmente, poi, il 3
marzo viene occupata anche Santa Croce. Il 4 marzo le squadre muovono
all'occupazione di Fucecchio, realizzata dopo un giorno di duri e
sanguinosi combattimenti.
Il 2 marzo, la direzione del PCd'I lancia un appello alla resistenza e all'organizzazione.
La
battaglia di Firenze si chiude con un bilancio di diversi morti e
feriti. Politicamente è siglata l'alleanza tra le istituzioni, il
fascismo e la classe dirigente dell'economia.
Verso la marcia su Roma
Successivamente
si apriva una fase di duri scontri nelle piazze tra lo squadrismo che
si potenziava e gli antifascisti -in squadre di arditi del popolo, cui
parteciparono comunisti, socialisti e repubblicani- per la difesa delle
città, dei municipi, delle camere del lavoro. I fascisti con le minacce
e le incursioni puntavano a conquistare con la forza amministrazioni
locali ed istituzioni operaie. In
larga parte la classe dirigente era orientata a vedere nel fascismo un
male necessario -per soffocare il disordine sociale- ma passeggero e
riassorbibile. Tale fu la posizione del "Corriere della Sera" e di
influenti esponenti della cultura liberale. Simile fu anche la posizione
politica di Giolitti che, nelle successive elezioni del maggio 1921,
puntò sui cosiddetti blocchi nazionali, comprendenti i nazionalisti e i
fascisti. Il risultato dei candidati nazionalisti e fascisti (eletti in
35 alla Camera) decretò la sconfitta politica di Giolitti. Il successivo
governo Bonomi ricercò un accordo. Nell'agosto del 1921 ottenne un
patto siglato da Mussolini e Turati. Il patto fu rapidamente sconfessato
dai capi dello squadrismo(dal novembre 1921 Partito Nazionale Fascista)
e decadde provocando, nel giro di pochi mesi, la crisi del governo
stesso, incapace di garantire l'ordine.
Di lì a poco l'antifascismo
subì una grave sconfitta con l'insuccesso dello sciopero generale
legalitario del luglio 1922, proclamato dalla CGdL e da altri sindacati
dei lavoratori, con la richiesta del ritorno alla normalità legalitaria.
Anche allora la chiave di volta consistette nella sintonia tra le
autorità governative ed i fascisti. La marcia su Roma fu la sostanziale
ratifica di quel patto gradito alle classi dirigenti e specialmente
alla monarchia.
Dalla marcia su Roma alla dittatura
La marcia su Roma avvenne il 28 ottobre del 1922. Alla proposta del governo, presieduto da Facta, di proclamare lo stato d'assedio, il Re rispose negativamente e chiamò Mussolini a formare il governo.
Il primo governo Mussolini fu di coalizione, comprendendo popolari, demosociali, liberali, nazionalisti e pochi fascisti. Era
politicamente un blocco moderato di destra uscito da un colpo di
stato.Di fatto era sostanzialmente debole, né legalitario né seriamente
rivoluzionario. Mussolini cercò di ampliare le sue alleanze: cercò
subito l'intesa con il Vaticano, per superare meglio l'ostilità della
parte di Partito Popolare legata a don Sturzo; avviò la riforma della
scuola, preparata dal filosofo nazionalista Giovanni Gentile, secondo
criteri di selettività sociale, che si realizzava grazie alla nascita
di diversi tipi di scuole.Il ruolo della religione cattolica
nell'istruzione risultava importante. Come risultato ottenne i pieni
poteri per la riorganizzazione fiscale e amministrativa dello Stato.
Sul piano "rivoluzionario" il nuovo governo creò il Gran Consiglio del
fascismo, composto dai massimi dirigenti del partito, del sindacato
fascista e dell'amministrazione statale. Fondò la Milizia Volontaria,
per dare regolarità formale allo squadrismo e contenerne meglio gli
impulsi.
La fusione del PNF con l'Associazione Nazionalista,
formalizzata nel febbraio del 1923,ne accentuò la caratterizzazione
conservatrice Non mancarono fenomeni di contrapposizione dei capi
locali nei confronti del centralismo mussoliniano. Malumori sindacali
derivavano dalla politica economica liberista, condotta dal ministro
delle Finanze De Stefani.Era
però gradita al mondo finanziario per l'abolizione del monopolio
statale sulle assicurazioni, l'attenuazione delle barriere doganali,
l'abolizione della nominatività dei titoli all'imposta di successione,
il salvataggio di imprese in crisi, come il Banco di Roma e l'Ansaldo.
Per
garantirsi una maggioranza assolutamente solida alla Camera, Mussolini
fece preparare da Bianchi e Acerbo una nuova legge elettorale
maggioritaria. Essa prevedeva l'attribuzione del 65% dei seggi alla
lista che avesse conseguito la maggioranza con una percentuale superiore
al 25% dei voti. I rimanenti seggi si sarebbe distribuiti tra le liste
sconfitte su base proporzionale. In vista di questa legge, il Presidente
del Consiglio preferì accantonare un progetto di legge per il controllo
sulla stampa. Ciò non impedì ad una parte dei liberali, che fino ad
allora avevano accettato l'opera del fascismo, di prendere le distanze,
come accadde a Croce,ad Albertini e ad Amendola.
Alle elezioni del
1924, a cui si presentarono un listone fascista, comprendente liberali
conservatori e clerico-moderati, e una seconda lista destinata a
recuperare voti anche nel proporzionale, si verificarono prevaricazioni
ai seggi,nonché irregolarità nel voto, che il socialista riformista
Matteotti denunciò.
Dal delitto Matteotti al Gran Consiglio
Il rapimento e l'uccisione di questo deputato, nel giugno del 1924, mise in crisi la saldezza politica della Presidenza del Consiglio. Infatti i gruppi parlamentari socialista, comunista, socialista unitario, popolare, democratico sociale, sardista e parte dei liberali democratici di Amendola abbandonarono i lavori parlamentari formando il cosiddetto"Aventino". All'Aventino mancò la coesione, ma mancò soprattutto la disponibilità del Re ad accogliere una mozione in difesa dell' ordine statutario.Dopo qualche mese d'incertezza, Mussolini tenne il discorso del 3 gennaio 1925 con il quale si assunse le responsabilità politiche dei fatti e quindi si costituì la premessa per la svolta politica.Sul piano economico il fascismo scelse di puntare alla modernizzazione dell'economia industriale. All'agricoltura venne riservato il compito di contenere l'eccedenza di manodopera. Da qui la campagna della "ruralizzazione", l'orientamento alla realizzazione delle bonifiche. Ne derivò il buon accordo con la Confindustria, favorito anche dall'accordo di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 -tra Confindustria e sindacati fascisti- che attribuiva a questi ultimi la rappresentanza esclusiva dei lavoratori in un quadro di rapporti di produzione non conflittuale. Era il passaggio ad una visione corporativa del confronto sindacale, in un generale piano di normalizzazione che investì anche gli intellettuali e la stampa.Si ebbe così la sostituzione -in sintonia con la grande proprietà dei giornali- dei direttori di testata entrati in sospetto, come Frassati de «La Stampa» e Albertini del «Corriere della Sera».Tre attentati, nell'aprile, nel settembre e nell'ottobre del 1926, prepararono il passaggio alle leggi "fascistissime".Queste stabilirono la chiusura di tutti i giornali di opposizione, lo scioglimento di tutti i partiti, tranne il fascista, il confino di polizia, la pena di morte per gli attentatori, la confisca dei beni ai fuorusciti, l'istituzione di un Tribunale speciale per la difesa del fascismo. I parlamentari ex aventiniani venivano esclusi dai lavori della Camera. Poco tempo dopo, i sindaci eletti venivano sostituiti da potestà nominati dal governo ed i consigli comunali venivano eletti dalle consulte nominate dai prefetti. Si compiva così il passaggio dal presidenzialismo autoritario alla dittatura. Il 21 aprile 1929,dandosi come fonte ispiratrice la Carta del Lavoro, improntata ai concetti di Stato etico-sociale e di Nazione, il fascismo cercava di dare volto corporativo alla nuova situazione. Per rafforzare il regime, fu preparata una nuova legge elettorale in cui ai votanti si sottoponeva una lista unica di 400 nominativi preparata dal Gran Consiglio. I componenti del Gran Consiglio, nel 1928 venivano aumentati con l'inserimento dei componenti di alte cariche istituzionali. Alla direzione comunque restava Mussolini. La monarchia accettava un proprio progressivo ridimensionamento in cambio dei risultati politici condivisi.
Il totalitarismo fascista
L'antifascismo militante
Il Fascismo tra impero e declino
Il Fascismo in Toscana
La Toscana contribuì in modo consistente al consolidamento del Fascismo, dopo il maggio del 1922, con punte più alte a Firenze, Siena e Grosseto. Vi aderirono rappresentanti delle diverse classi sociali senza però arrivi da altri partiti.La confluenza ebbe luogo da diverse aree politiche e da nuove generazioni digiune di politica. Un ruolo significativo lo ebbe il sindacalismo che produsse quadri come il piombinese Persindo Giacomelli, l'orbetellano Umberto Pasella, il pesciatino Cesare Rossi. Il fascino dei vincitori attrasse molti giovani e non. L'orientamento mussoliniano a fare del fascismo uno strumento degli interessi industriali e agrari portò in quelle file personaggi dell'élite nobiliare, finanziaria e commerciale.Tra gli altri aderirono Pier Filippo Sassoli de'Bianchi, Giuseppe della Gherardesca, Piero Ginori Conti, Costanzo Ciano.
La marcia su Roma aprì la strada a nuovi ingressi nelle fila fasciste.La Toscana risultò la regione con maggiori aderenti, mentre i leaders assumevano rapidamente il controllo di parecchie amministrazioni locali.
Un ulteriore salto della presenza fascista avvenne con le elezioni amministrative del 1923, svolte con metodi particolarmente prevaricatori. Analogamente avvenne con le elezioni politiche del 1924, quando il fascismo toscano, fruendo della legge Acerbo, conseguì il più alto risultato italiano. Non si fermò allora la violenza fascista che colpì la stampa direttamente, come accadde al "Nuovo giornale", incendiato nel dicembre del 1923.Questo malgrado il potere sui giornali fosse garantito dal concorso dei prefetti.
La costellazione del potere, rappresentata dai cosiddetti "ras" o capi locali, vide emergere il calabrese Carlo Scorza a Lucca; il fiorentino Ferdinando Pierazzi a Grosseto; il pisano Guido Buffarini Guidi nella sua provincia; a Livorno Costanzo Ciano e la sua famiglia, anche se non in forma diretta; Renato Ricci a Carrara; Dino Perrone Compagni e il tenente Tullio Tamburini a Firenze,finché non fu liquidato dalle faide interne.A Firenze ben presto iniziarono ad affiorare nuovi personaggi come i fratelli Pavolini, in particolare Alessandro.A Siena, la lotta per il potere tra fazioni del fascismo fu più combattuta.
Il fascismo toscano conteneva in sé le diverse variabili delle sue realtà produttive. Tra il fascismo urbano e quello agrario corsero differenze di metodo e di gestione dei rapporti politici.Analogamente vi erano differenze tra i soggetti sociali chiamati a condividere le responsabilità.In una prima fase,fino al 1925, il fascismo "rivoluzionario" fu prevalente. Successivamente il peso del notabilato storico riassunse presto notevole forza. Il 1926 rappresentò una sorta di spartiacque a favore del potere del notabilato,rispetto alle velleità propulsive.
Nel corso degli anni si manifestò un particolare attivismo culturale del fascismo toscano e specialmente fiorentino.Questo attraverso riviste come "Il bargello","Il Ferruccio" di Pistoia, "Il Selvaggio". Proprio "Il Selvaggio" fu rappresentativo di una cultura militante ispirata alla filosofia dello squadrismo e, contemporaneamente, rappresentativa del cosiddetto "strapaese", tra toscanità conservatrice e velleità di una presunta rivoluzione totale. Essa si proponeva come alternativa alla cultura di derivazione idealistica, rappresentata specialmente da Camillo Pellizzi e interpretata sul piano dell'organizzazione culturale da Dino Bottai, animatore di una rivista di rilevo, "Primato" uscita alla vigilia della guerra. La particolare vicinanza all'ambiente toscano di personaggi come Giovanni Gentile enfatizzò la cultura accademica.
La cultura toscana fascista fu segnata dall'apporto dei vari Soffici, Maccari, Malaparte, Tavolini. A questi va aggiunto l'apporto degli intellettuali fiancheggiatori appartenenti ad altri ambiti non strettamente fascisti come Guido Manacorda e Giovanni Papini.
Particolare influenza negli atteggiamenti del fascismo fiorentino ebbe Alessandro Pavolini. Combattivo e fautore di una vera autonomia dell'apparato fascista nei confronti dell'apparato politico dello Stato, intellettuale e reazionario insieme, protagonista della battaglia per dare alla città una veste fascista solennemente ispirata alla grande tradizione medievale. Anche la rivisitazione storica così concepita era funzionale a quella "captatio" del consenso popolare. Ovunque, in Toscana, si riportarono in auge -quando non s'inventarono di sana pianta- tradizioni storiche da celebrare, campanili da esaltare, glorie da imitare come precorritrici della "rivoluzione" fascista. A questo scopo servirono anche il riammodernamento cittadino, l'esaltazione dello sport come riconoscimento dei valori municipali e nazionali, il funzionamento dei dopolavoro e degli altri organismi di irreggimentazione del consenso.
Il Fascismo a Firenze
Dopo le battaglia di Firenze e di Scandicci del febbraio 1921, le violenze fasciste proseguirono. Il 5 maggio fu la volta della Casa del Popolo di Rifredi a subire un attacco che si concluse con l'incendio della gloriosa istituzione democratica. Lo squadrismo andava sviluppando la sua aggressione in tante parti della Toscana, in larga misura guidato da Firenze, come fu anche a Livorno, roccaforte democratica e rossa, "espugnata" manu militari nell'agosto del 1922. Il fascismo fiorentino partecipò massicciamente alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922.Si con una legione toscana, comandata dal generale e ex legionario fiumano Sante Ceccherini, uomo in stretto rapporto con Mussolini. Della Legione toscana faceva parte una "colonna Perrone", dal nome del capo del fascismo fiorentino. Già nelle ore precedenti l'evento i fascisti fiorentini di Tamburini avevano occupato i più importanti punti strategici del capoluogo e, di fatto, imprigionati ufficiali e messo sotto assedio la Prefettura, prima che il "ras" Italo Balbo desse l'ordine di recedere per non disturbare l'azione di Roma.
Dopo l'arrivo al potere di Mussolini, lo squadrismo, per quanto in parte convogliato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, costituita dal nuovo governo per incanalarlo, non finì di operare. Federale di Firenze era ancora Dino Perrone Compagni, quando il fascismo rivelò, con il rapimento e l'uccisione di Matteotti nel giugno del 1924, la sua natura criminale.Il responsabile della squadra che aveva eseguito il delitto fu il fiorentino Amerigo Dumini, uno dei fondatori del fascio fiorentino. Dumini uomo dello squadrismo tamburiniano, aveva diretto il giornale "Sassaiola fiorentina" tra i fogli più bellicosi del movimento. Componente della cosiddetta "ceka", squadra di polizia segreta di Mussolini, fu protagonista di quell'atto che produsse anche una provvisoria crisi politica per Mussolini.
Il Fascismo fiorentino -allo scopo di ripristinare l'equilibrio politico precedente al delitto- fu pronto a riprendere lo spirito squadrista alimentando la cosiddetta "seconda ondata". Il 31 dicembre del 1924 ebbe luogo, in Piazza S.Maria Novella, una grande manifestazione di fascisti, provenienti da tutta la regione, per gridare la devozione a Mussolini, e la battaglia contro gli aventiniani e gli antifascisti.Poi un attacco devastò la sede del "Nuovo Corriere", mentre venivano assaltate case, botteghe, uffici professionali di antifascisti, logge massoniche e sedi di attività assistenziale come la Fratellanza militare. Tra gli altri obbiettivi vi fu il Circolo di cultura fondato da Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Alfredo e Nello Niccoli. Quel Circolo era particolarmente legato a Gaetano Salvemini contro cui l'emergente Alessandro Pavolini aveva guidato una manifestazione di studenti per invocarne la cacciata dall'Università di Firenze.
La "filosofia" squadristica era alimentata soprattutto da Tullio Tamburini, il console della "Francesco Ferrucci", punto di riferimento di una corrente movimentista ed estremista che aveva avuto tra le sue file anche Amerigo Dumini. Il 20 luglio 1925, a Montecatini, squadristi legati a Tamburini assalirono il liberale democratico Giovanni Amendola che ,per le conseguenze della violenza subita, morì nove mesi dopo. A partire dal 25 settembre 1925, gli squadristi di Tamburini iniziarono una vera e propria campagna contro gli antifascisti,sviluppata in più giorni.Il fatto più grave accadde nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1925.Nel corso di una incursione squadristica nella casa di Napoleone Bandinelli, al suo prelevamento si oppose il repubblicano Giovanni Becciolini, presente nell'abitazione.Ne scaturì una colluttazione nel corso della quale un colpo di pistola,di provenienza incerta,causò la morte del fascista Giovanni Leporini. Becciolini fu vittima della rabbia squadrista, dapprima picchiato selvaggiamente, poi finito per strada, nella piazza del Mercato. La cosiddetta "notte di San Bartolomeo" proseguì poi con l'uccisione, nella sua casa,dell'avvocato Gustavo Console, e l'aggressione dell'ex deputato socialista Gaetano Pilati, che pochi giorni dopo decedeva per le ferite subite. Quello guidato da Tamburini fu un vero e proprio assalto alla città giustificato come azione contro l'antifascismo, la massoneria, la borghesia e perfino contro i liberali accusati di opportunismo inquinatore del fascismo. Anche la provincia fu colpito con assalti che riguardarono Sesto Fiorentino, Badia a Ripoli, Tavarnelle, Galluzzo, Impruneta.
Il "Tamburinismo" pose problemi a Mussolini ed a Farinacci, segretario del PNF. Tamburini fu allontanato da Firenze per svolgere altri compiti. Successivamente divenne prefetto di importanti città. Quanto era accaduto assunse una rilevanza negativa di rilievo per il Fascismo. Anche il prefetto ed il questore della città furono allontanati.In realtà era in atto una furibonda contrapposizione in seno al fascismo fiorentino, diviso tra i "guelfi" e i "ghibellini", come li definiva Curzio Malaparte, segretario provinciale della federazione dei sindacati fascisti fiorentini.
La situazione fiorentina fu dapprima affidata al quadrunviro, Italo Balbo, che avviò la normalizzazione facendo anche leva su elementi provenienti dallo squadrismo non fiorentino.Successivamente la responsabilità passò a Giovanni Marchi, un liberale traghettato al Fascismo. Il Fascismo fiorentino fu riequilibrato con potenti epurazioni (oltre 500 iscritti allontanati).L'allontanamento degli esponenti più estremisti, concesse ampio spazio al ceto aristocratico e nazionalista, dunque alla tradizione più solida del potere provinciale.
All'inizio del 1926, rispetto alla componente cosiddetta "popolare",che aveva espresso Tullio Tamburini, e quella "borghese"che aveva espresso Dino Perrone Compagni, prevalse la componente aristocratica rappresentata dal marchese Luigi Ridolfi che fu nominato federale. L'anno successivo, tuttavia,il marchese Ridolfi fu affiancato da Pavolini,espressione dello squadrismo, nominato vice federale. Pavolini giovane intellettuale, con ambizioni artistiche letterario-cinematografiche, era in contatto con gli ambienti più convinti della necessità del rinnovamento, come quelli romani rappresentati dal critico Alessandro Blasetti.Nel contempo era un frequentatore dei salotti borghesi della Firenze dei circoli e dei caffè.
Nel 1929, Pavolini sostituì Ridolfi nella carica di segretario provinciale del fascio di Firenze.Il suo intento era di dare al fascismo fiorentino un'impronta culturale innestata sulla concezione "squadristica" d'assalto. Nello stesso anno Pavolini fondava la rivista "Il Bargello", come organo della sua federazione.
Pavolini volle manifestazioni culturali popolari, il rilancio del calcio in costume, la mostra dell' artigianato, la primavera fiorentina. Sviluppò inoltre le raffinate iniziative impostate del predecessore Ridolfi, come il maggio musicale.Il tutto con il fine di assumere l'immagine di "mecenate politico"
La nomina di Pavolini a federale non significava l'abbandono dell'alleanza tra fascismo e ambiete nobiliare fiorentino.Ne è prova la nomina,nel 1930, di Giuseppe della Gherardesca a podestà di Firenze, sostituito poi, nel 1933, da Paolo Venerosi Pesciolini, quando Niccolò Antinori divenne podestà di Scandicci.
Il 27 ottobre del 1934, il fascismo inaugurava la cripta dei cosiddetti 37 "martiri fascisti" dandogli un valore di grande solennità.Il cerimoniale seguito, impiegato poi in altre città, voleva significare una vera e propria glorificazione squadrista. La mobilitazione dei 14 gruppi rionali fascisti, divisi in settori, doveva servire a enfatizzare al massimo una manifestazione che, come ha scritto la storica Alessandra Staderini, ebbe valenza nazionale. Fu "consacrata" da una breve visita di Mussolini, accompagnato dal suo delfino Galeazzo Ciano e dal segretario del PNF, Achille Starace, e da un'amplissima rappresentanza di federali provinciali ed altre autorità del regime. Si voleva che i morti per il Fascismo vivessero "sempre nel culto di tutti i seguaci di Mussolini e del popolo italiano". Fu una grande parata del regime e dello squadrismo, tesa ad alimentare la leggenda dell'eroismo dei portatori di una "neofiorentintà eroica": il suggello tra "la disciplina delle masse e la fede nel capo".
Questa banalità retorica manifestava con efficacia il vuoto di valori dietro al quale il regime nascondeva le sue plateali contraddizioni.In particolare il contrasto fra il presunto rivoluzionarismo delle proprie origini e la completa sovrapposizione della nazione fascista sull'idea di nazione fondata sulla libera cittadinanza.
Nel continuo decadere del principio di cittadinanza, inaugurato nel 1922 e completato dalle leggi fascistissime del 1926 che avevano ucciso definitivamente la libertà, Firenze fu costretta ad esercitare un ruolo chiave. Nonostante questo, a Firenze restarono spazi di dignità intellettuale. La rivista "Solaria", fondata da Alberto Carocci nel 1926, con intenti prevalentemente letterari aperti alla cultura europea. La rivista dovette poi chiudere nel 1936 per il restringimento del proprio spazio operativo. La rivista "Frontespizio",costituita nel 1929, rappresentò il tentativo di mantenere viva l'identità cattolica all'interno del fascismo, dopo i Patti lateranensi. La rivista ebbe poi un biennio positivo in corrispondeza alla coesione tra regime e mondo cattolico verificatasi con la guerra di Spagna.
Firenze, per il proprio livello culturale, rimase sempre al centro delle più rilevanti vicende del regime mussoliniano. Accadde, per esempio il 9 maggio del 1938 quando, nel corso della visita di amicizia in Italia,vi fece sosta Hitler. La città venne mobilitata per dimostrare la grandiosità del Fascismo, al dittatore trionfante per la recente realizzazione dell'Anschluss, l'annessione dell'Austria. Titolava "La Nazione": Firenze insuperabile in ardore inneggia al capo della Germania amica e al duce. Lontana da quella Firenze stava l'altra Firenze che comprendeva l'abisso in cui il regime stava portando l'Italia. Anche la Chiesa aveva una visione lucida del processo che il Fascismo aveva avviato.Il Cardinale Dalla Costa decise di tenere chiuse le porte del Duomo al passaggio del corteo di Hitler e Mussolini. Nello stesso anno, l'allontanamento tra la Chiesa e l'orientamento filonazista di Mussolini, provocò anche una crisi della rivista Frontespizio allora diretta da Barna Occhini sostenitore della vicinanza tra i due paesi
La visita di Hitler fu anche il preludio della definitiva adesione fascista alle leggi razziali. Nel luglio 1938, un sorprendente manifesto di cosiddetti "scienziati" enunciava la teoria sulle differenze delle razze, con evidente intento antisemita. Il 22 agosto 1938 il governo annunciava il censimento nazionale delle persone di razza ebraica. Con assoluta tempestività, Palmieri, prefetto di Firenze, sollecitava al podestà Venerosi Pesciolini una rapida attuazione del censimento. Di lì a poco, con procedura d'urgenza, il re Vittorio Emanuele controfirmava la legge che discriminava gli ebrei e li privava di fatto della cittadinanza. Si avviò così l'allontanamento degli ebrei: privando gli studenti della scuola, gli insegnanti del loro lavoro, gli imprenditori della loro azienda. Con la guerra, iniziò anche l'internamento in speciali campi, mentre la vera Firenze, quella estranea al fascismo, iniziava ad attuare le forme clandestine di assistenza agli ebrei.
Il Fascismo a Scandicci
Dopo l'assassinio di Spartaco Lavagnini, il 27 febbraio 1921 ed i tumulti che ne seguirono, i cittadini di Scandicci si strinsero attorno al Consiglio comunale ed al sindaco Silvio Cicianesi. Furono erette barricate in vari punti della città. In particolare, al ponte sulla Greve -strada di collegamento con Firenze- dove ci si aspettava l'arrivo degli squadristi, venne eretto l'ostacolo più solido, il "trincerone". La mattina del 28 febbraio arrivò un contingente dell'esercito dotato di autoblindo e cannoni da campagna.Sfondato il trincerone a cannonate, entrò in città, cannoneggiò il palazzo del Comune e poi la Casa del Popolo, quindi arrivarono i fascisti e il contingente si ritirò. I fascisti ebbero mano libera. Si ebbero rappresaglie immediate.Oltre alla distruzione delle sedi operaie, si colpì la vita democratica. Furono imposte le dimissioni del Consiglio comunale e si nominò un Commissario prefettizio con mansioni di ordinaria amministrazione. Molti cittadini di Scandicci vennero sottoposti ad indagini giudiziarie che determinarono il "processone"(definizione ironica della Nazione), a carico di 26 cittadini, che iniziò il 21 novembre 1922( a Marcia su Roma avvenuta). L'accusa era di insurrezione armata contro i poteri dello stato, tentato omicidio aggravato,interruzione dei servizi telegrafici e telefonici.Il sindaco Silvio Cicianesi venne condannato a 15 anni di reclusione,l'assessore Vittorio Michelassi a 5 anni e 10 mesi. Altri dieci imputati vennero condannati a pene variabili.Quattordici imputati vennero prosciolti.Questa vicenda,naturalmente, contribuì, ad incrementare il casellario politico della questura.
I cittadini di Scandicci schedati al casellario politico -quindi
sottoposti a particolari "attenzioni" in quanto sovversivi, cioè
pericolosi per l'ordine pubblico- risultano essere stati 106. Fra di
essi: 49 qualificati come comunisti, 32 socialisti, 12 antifascisti, 11
anarchici e 2 non connotati specificatamente. Nel casellario politico i
106 schedati del periodo fascista si sommano ai 27 schedati dal 1896 al
1916. Quest'ultimi erano distinti in 17 socialisti, 8 anarchici e 2 non
connotati specificatamente.
L'istituzione
del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, provvide alla
celebrazione di processi che coinvolsero numerosi cittadini di
Scandicci. Nel 1926 si ebbero molti arresti per il reato di
ricostituzione del Partito Comunista. Gli arrestati vennero processati
l'anno successivo e furono inflitte varie condanne. Tra i "colpevoli"
ricordiamo gli scandiccesi Renzo Berti, Fausto Giani, Ugo Grifigni,
Santino Mugnai e Giulio Ugolini, condannati a pene detentive varianti
dai due ai tre anni ciascuno. A Milano, nel 1927, venne arrestato un
gruppo di militanti perchè cercava di ricostituire la Confederazione
Generale del Lavoro. Tra questi figurava Osvaldo Benci, di Casellina e
Torri che, ritenuto il principale responsabile, veniva condannato a
venti anni di reclusione. A Firenze veniva arrestato un gruppo di
militanti comunisti che, accusati di avere tentato, "antecedentemente al
1924 e fino a tutto il 1926" di riorganizzare il partito, venivano
processati davanti al Tribunale speciale. Tra di loro figurava Giulio
Ceccuti, di Casellina, che veniva condannato a cinque anni di carcere.
Nel 1927 si ebbe un altro tentativo di ricostituzione del Partito
Comunista al quale avevano preso parte anche
Iginio Bercilli, di Casellina e Torri. Arrestato e processato, il
Bercilli veniva condannato a sei anni di reclusione. Sempre per lo
stesso motivo veniva arrestato e processato un altro gruppo fiorentino
del quale facevano parte Autilio Ceccarelli, Olinto Ceccuti e Gino
Frosali, tutti di Scandicci. Giudicati colpevoli venivano condannati a
pene detentive oscillanti fra i tre ed i quattro anni ciascuno. Della
vasta rete comunista, ricostituitasi in Toscana dopo gli arresti del
1937 e scoperta l'anno successivo, facevano parte anche Giuseppe
Calattini, Ugo Miliani Tebaldo Cambi, Enrico Checcucci e Fosco Conti di
Scandicci. Giudicati colpevoli, venivano condannati a pene oscillanti
dai cinque ai due anni di reclusione. Un gruppo pratese dedito al
"soccorso rosso" ed all'"organizzazione comunista" veniva individuato ed
arrestato nel 1941 e processato nel 1942. Tra di loro figurava Oliviero
Frosali di Scandicci, che veniva condannato ad otto anni di carcere.